Tra gioielli e bordi: la tavola di Ciccio Sultano
Proporzione: è questo il parametro che guida Ciccio Sultano nella scelta del piatto da mettere al servizio delle sue creazioni culinarie. Lo chef siciliano, due stelle Michelin per il Ristorante Duomo di Ragusa, ha messo la sua idea di cibo e cucina al centro del confortevole salotto alle spalle della sontuosa cattedrale cittadina. Il lino delle tovaglie accoglie stoviglie di Ugo Poggi, Bernardaud e Roos Van De Velde. Caraiba e Serax sono i suoi “negozi di giocattoli”. La ceramica resta il cuore materico del servizio del Duomo, «più calda e umana», come lo chef si augura si diventi anche fuori.
«Quello che ci sta succedendo, questa pandemia, ci deve costringere a prenderci le nostre responsabilità. Mangiare è la prima forma di prevenzione. Poi c’è il rispetto degli spazi e delle natura. Fare più attenzione ci potrebbe dare indietro ciò di cui abbiamo bisogno e che stiamo perdendo».
Cosa guida la scelta del tableware di Duomo Ristorante?
Mi innamoro di una ceramica o di un oggetto, che può suggerirmi un piatto. Altre volte è un contenitore disponibile per il servizio. Ma in tutti e due i casi abbiamo deciso di mettere a servizio delle ceramiche che hanno una proporzione rispetto ai piatti.
Ha sempre usato la ceramica?
In passato ho usato anche il vetro, ma preferisco la ceramica bianca: dà un senso di calore e di maggiore umanità.
La prima ceramica usata da quando è chef?
Quella di Richard Ginori.’
Partiamo dalla doppia conchiglia con manico in corallo, che contiene un’oliva e una mozzarellina. Come nasce questo pezzo, chi è l’artista e qual è l’idea che vuole comunicare portando questo oggetto in tavola?
Si tratta di un ménage che ho acquistato da Ugo Poggi. Lui ha questa gioielleria accanto Palazzo Strozzi, a Firenze. Erano pensate per contenere polvere di pepe e sale. Poggi è una tappa fissa quando sono a Firenze: ci vado per comprare anche zuccheriere e tazzine da caffè. Quelle che utilizziamo alla fine del pasto vengono da lì.
L’Ostrica alla Beccafico viene servita con accanto un cucchiaio di ceramica. La sua forma evoca un passato arcaico, quasi preistorico. Come nasce questo abbinamento?
Il cucchiaio è disegnato da Roos Van De Velde, fatto per Serax. Ho scelto la ceramica sia per un’accortezza tattile sia per una questione chimica. Avvicinando il metallo delle posate al frutto, si innesca una reazione chimica che va a farsi sentire a livello gustativo. Poi questo oggetto meraviglioso, fatto bene e richiama la forma preistorica del guscio d’ostrica, creando un’assonanza plastica che amiamo molto.
Come mai, in una regione a grande vocazione artigianale e ceramista come la Sicilia, non ha pensato di affidarsi a un artista locale per la realizzazione di tutto il tableware (o di almeno un suo pezzo)?
Non c’è una ragione specifica, le scelte estetiche variano in base alle ricette. Una cosa è certa, la nostra cucina è internazionale per vocazione e la scelta di designer stranieri del tutto naturale.
Cibo e ceramica vanno di pari passo da sempre: qual è l’aspetto di questa materia che l’affascina di più?
La ceramica è un materiale straordinario, sontuoso, duttile. Mi affascina l’energia e la luce che emana. La preferisco bianca, al massimo decorata nel bordo, o positivo o negativo o con tratto colorato. Quel bordo è come un confine, delimita il contenuto. Se il bordo è decorato o in rilievo costringe il cuoco a essere più rigoroso, cosa per me importante.
Quanto conta il piatto – il suo materiale e la sua forma – nel suo processo creativo gastronomico?
Credo che la forma di quello che si vuole mettere nel piatto non sia mai contaminata dal piatto stesso. Resta un contenitore, non costringe o lo fa solo con il suo bordo. È come un quadro, che già c’è, il resto – la cornice – viene dopo. A volte il piatto viene prima perché te ne innamori e lo acquisti. Ma poi la pietanza viene costretta dalla misura della materia.