Senza il giusto contenitore anche il gambero perfetto si perderebbe nel mare di eccelsa materia prima. Tra credenze di famiglia e creazioni d’artista, Felice Sgarra racconta la scelta fatta per il suo nuovo progetto di ristorazione.
Nelle antiche case, quelle abitate dalle nostre nonne, i piatti erano oggetti da esibire. Ricercati, lavorati, eleganti: il “servizio buono” faceva bella mostra di sé nelle credenze di vetro. Quando ha pensato Casa Sgarra, a Trani (BT), Felice Sgarra e i suoi fratelli Riccardo e Roberto hanno voluto tendere una mano a quel passato, rimanendo ben ancorati a un presente in cui la ceramica ha riconquistato un ruolo di prim’ordine. Sulla loro tavola ci sono le ceramiche storiche di nonna Maria Sinisi in Gentile e quelle contemporanee, materiche, concepite assieme a Vincenzo del Monaco.
Del Monaco è un architetto, scultore e artista italiano. Vive a Grottaglie, in provincia di Taranto. Il 40% della sua attività oggi ha a che fare con il mondo dell’alta cucina. Andrea Berton è stato il primo a coinvolgerlo nella progettazione di stoviglie. Il poggiaposate pensato per lui ha fatto scuola. Ha firmato le tavole di alcuni tra i big della cucina pugliese come Domenico Schingaro a Borgo Egnazia, Angelo Sabatelli a Putignano e Antonio Zaccardi a Conversano. La materia nuda, la pulizia della linea, l’empatia con la cucina del committente sono alcuni dei tratti del suo processo creativo.
«Lo sguardo trasversale applicato ala capacità artigianale, supportato da un minimo di propensione intellettuale, ci porta a un risultato straordinario», spiega Del Monaco. Per i piatti di Casa Sgarra il risultato è stato possibile solo grazie alla conoscenza dei «limiti della materia. Abbiamo individuato la porcellana di Limoges, adatta all’uso alimentare. Viene trattata senza alterarne la composizione chimica. All’interno non ci sono metalli pesanti come cadmio o nichel. Gli chef apprezzano questa materia, molto sottile, resistente alla contundenza. Felice era alla ricerca di una forma che evocasse la mediterraneità, come il fico. L’abbiamo trovata in un porta lampada».
Oggi la tavola di Casa Sgarra è più elegante che mai. Ai piatti di Del Monaco si affiancano anche i tumbler creati su misura per i tre fratelli andriesi. Ogni decorazione rappresenta un carattere: le linee per Riccardo, i quadrati per Roberto e l’estroso rombo per Felice. Alla termine dell’esperienza gastronomica, il fine pasto è servito nei calici fiorati di Nonna Maria.
Felice Sgarra, quanto conta il piatto in cui si mangia?
Il piatto è parte vitale dell’ingrediente stesso perché deve parlare di un territorio, ma soprattutto deve argomentare la visione di quello che abbiamo nel piatto
Chi è l’artista che ha realizzato le ceramiche originali per Casa Sgarra?
Vincenzo Del Monaco. Ci siamo incontrati da Identità Golose. L’idea di avere un piatto d’artista, con la materia pura all’esterno e i bordi spezzettati, è un modo per raccontare la nostra Puglia: un territorio che non è da fatto da giardini precisi, ma da monti, colline e muretti a secco
Com’è stato lavorare con lui, come si è svolto il processo creativo?
Vincenzo aveva una lampada a forma di fico. Mi sono innamorato di quella forma e gli ho chiesto di realizzare un piatto partendo da questa riproduzione di un frutto caro alla nostra terra. Porcellana di Limoges materica fuori, smaltata dentro per un piatto imperfetto, artigianale. Io nasco dalla terra. Ricordo quando si andava a raccogliere i pomodorini in campagna, anche loro uno diverso dall’altro, come questi piatti. È questa l’immagine che ho voluto restituire sulla mia tavola.
Quando usi questi due piatti materici?
Li trovo molto adatti per il pesce, per il vegetale e per la carne.
Qual è la criticità legata a questi piatti?
Lo stazionamento. Sono più fragili quindi c’è bisogno di spazio per conservarli, ma anche per gestirli durante il servizio.
Non possiamo impilarli. Noi, con quaranta coperti, riusciamo a farlo.
Le ceramiche hanno influenzato la composizione materica dei tuoi piatti?
Assolutamente sì. L’impiattamento non nasce dal “cosa ci metto”. Vedo il piatto, poi prendo degli ingredienti e provo. La ceramica deve poter parlare del mio territorio. Poi, all’interno, posso metterci anche cibi che vengono dall’altra parte dell’oceano, ma deve comunque inserirsi nel mio contesto territoriale. Noi oggi non dobbiamo inventare, ma coltivare, soprattutto la tradizione, il che vuol dire portare avanti un processo storico, che renda omaggio al futuro della nostra terra.
Cibo e ceramica vanno di pari passo da sempre: qual è l’aspetto di questa materia che ti affascina di più?
Quando abbiamo iniziato a lavorare questi piatti, prima ho visto il blocco e lì ho pensato: “possiamo farci qualunque cosa”. Cercavo la mia forma, che fosse mia e basta, sartoriale. E l’ho trovata nel laboratorio di Vincenzo Del Monaco.