Giulia Bonora (1986, Ferrara), si diploma in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti a Bologna, dove vive e lavora. Indaga il rapporto tra natura e cultura, mescolando diversi linguaggi quali il disegno, la performance, l’installazione e, più recentemente, l’uso della ceramica. Con una tesi di ricerca svolta in Olanda incentrata sul legame tra arte e cibo, ha ideato e sviluppato un metodo di lavoro chiamato Cucina Scultorea. Tra le residenze: Museo Carlo Zauli, Faenza, premio concorso Open to Art – Officine Saffi (2019), Sculpture Factory, Jindgezhen, Cina (2019), Sundaymorning@ekwc, European Ceramic Work Centre, Oisterwijk, Paesi Bassi (2018), e alla residenza SAC, Fondazione Pino Pascali, Polignano a mare (2014). Recenti collettive: Il colore interiore, Montelupo Fiorentino (2019), Open to Art, Officine Saffi, Milano (2019), Ceramica contemporanea, Nuovi maestri, Castello di Levizzano (2018), Test Case XVI, EKWC, Oisterwijk (2018), Jewelery, Caroline Van Hoek Gallery, Bruxelles (2016). Recenti personali: Il gesso come la farina, Gallleriapiù, Bologna (2015), Art dinner progetto per EXPO, MLB Home Gallery, Ferrara (2015).
FC I tuoi lavori rappresentano contenitori per cibo, ma anche stomaci, o piatti con tubi … Spiegaci il legame fra il materiale ceramico all’idea più o meno concreta di cibo.
Pensando a come è iniziata e si è sviluppata la mia ricerca posso dire che il cibo è sempre stato visibilmente presente nel lavoro, come per esempio nella Croquette Machine, una macchina artigianale che sputava crocchette.
Alla ceramica sono arrivata per istinto, per l’attrazione verso il colore e i processi di trasformazione improvvisi che accadono nel forno.
Oggi il focus, come in una partita di tennis, continua ad oscillare tra questi due poli opposti: ceramica e cibo. Ceramica e cibo sono storicamente legati: i primi contenitori che l’uomo ha modellato per gli usi quotidiani sono in ceramica.
Ceramica, cibo e contenitore sono le mie tre parole chiave. Ogni progetto viene realizzato con immagini, forme e sculture diverse ma sempre nell’idea che il cibo sia collegato ad uno spazio.
Dallo stomaco al piatto, per arrivare al tavolo e alle relazioni tra i commensali.
FC Siamo stati incuriositi da due titoli: Il gesso come la farina e Art Dinner, ci racconti queste tue personali?
Il gesso come la farina era un progetto di live streaming ispirato ai tanti food show contemporanei. Il progetto, che combinava esperienze di arte e cucina, è stato realizzato presso Gallleriapiu’, a cura di Veronica Veronesi e con il testo critico di Martina Liverani. Basandomi su un ricettario di cucina degli anni ‘70, per otto puntate in diretta live, mi sono collegata dal mio studio alla galleria attraverso un monitor, dando vita ad un reality di Cucina Scultorea.
Per ogni puntata ho creato una scultura di fake food, come, ad esempio, pollo in gelatina o torta di tagliatelle. Il legame con la realtà era solo nell’idea del cibo e nell’interpretazione dei processi culinari, mentre i materiali spaziavano dalla ceramica, alla gelatina, das, stoffa, lattice, carta.
Art Dinner è un evento curato da MLB Home Gallery, in concomitanza con Expo Milano. Il progetto Co-diners nasce con l’intento di ricreare all’interno di una cena una dinamica relazionale accentuata nella condivisione delle pietanze e nella comunicazione tra i partecipanti. Ho pensato di creare un servizio di piatti in ceramica bianca senza decoro, collegati tra loro da un sistema di elastici. Ogni portata legava i commensali secondo nuove relazioni, per creare significative tensioni tra di loro.
La cena è stata una performance che ha divertito moltissimo, non tutti i partecipanti si conoscevano e la difficile stabilità dei piatti ha innescato un processo di auto aiuto conoscitivo tra le persone.
Questa è stata la prima esperienza di collaborazione con uno chef stellato, Pierluigi di Diego, che si è occupato della preparazione del cibo.
FC Non hai seguito il percorso classico del ceramista, e non nasci da una delle città della tradizione. Perché hai scelto la ceramica come tuo media espressivo e come hai acquisito la tecnica?
Come dicevo sopra, l’istinto verso questo materiale ha fatto crescere nel tempo la mia curiosità.
I colori per me sono una parte importantissima del lavoro e sapere che con l’argilla posso lavorare in autonomia seguendo un processo dall’inizio alla fine, mi fa sentire molto forte.
La ceramica secondo me ha una funzione didattica: quando apri il forno non sai mai se le tue aspettative saranno soddisfatte, per cui ti educa all’imprevisto e all’accettazione di se’. Impari molto velocemente che non puoi controllare sempre tutto e che alle volte è una forza più alta a decidere per te.
Ho iniziato a lavorare la creta già dai tempi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, poi in Olanda presso AKI – Universita’ di Enschede (Olanda) e in seguito presso le residenze: EKWC, European Ceramic World Centre (Olanda), Museo Carlo Zauli (Faenza), Jingdezhen (Cina).
FC I tuoi segni distintivi sono le colorazioni blu e la lavorazione a colombino, cosa rappresentano?
La lavorazione a colombino è un automatismo ininterrotto, in cui le mani anticipano il corpo e la mente. È una tecnica di costruzione primordiale, ma che nella contemporaneità è la medesima della stampante 3d.
La ricerca sul colore, della giusta tonalità di smalto, è la parte più razionale del processo, e come un chimico faccio decine di test per raggiungere quel tipo di blu. L’aspetto della sperimentazione mi affascina, perché tutte le volte vorrei trovare qualcosa che mi dia risposte per spiegare il lavoro, anche se ci sono delle parti che restano sempre in ombra, che si nascondo anche a me.
Il blu è un colore autoritratto. Il blu è un colore orale, colore del legame dell’appartenenza, rappresenta l’inconscio nella profondità (colore del mare) e la conoscenza (colore del cielo). Il rapporto tra la forma e il colore è intrinseco: le forme geometriche sembrano naturalizzarsi in contrasto con il blu che porta un senso di astrazione.
I contenitori a colombino sono pensati in funzione a un contenuto. Alle sculture sono aggiunti elementi naturali rappresentati artificialmente come sfere d’acqua tridimensionali e sabbia blu.
FC Cibo e ceramica sono due linguaggi. Quali “parole” che hanno in comune?
Penso subito a binomi come contenitore/contenuto, artificiale/naturale, vero/finto.
Nelle foto:
Giulia Bonora, autoritratto in studio
Art Dinner, foto Francesca Occhi
Il gesso come farina, foto Gabriele Corni e Giulia Bonora
L’artista al lavoro presso EKWC, European Ceramic World Centre (Olanda)
Installazione al Museo Carlo Zauli, Faenza:
Anfora, grès, smalto, 2019 Base blu, grès, smalto, 2019
Piatti, grès, smalto, 2019
La forma del vuoto, grès, smalto, sabbia, 2019
foto Giulia Bonora