In un sito che racconta storie di ceramica e cibo non poteva mancarne una interamente dedicata al Peposo, spezzatino tipico, che nasce esattamente all’Impruneta, ed esattamente all’interno delle manifatture ceramiche.
Proprio nelle fabbriche di terracotta gli operai iniziarono a cucinare i tagli più poveri del manzo all’interno degli orci dell’olio. Le parti più utilizzate erano il muscolo e lo zampetto, che si ammorbidivano con una lentissima cottura.
Per insaporire e migliorare il gusto della carne, che come possiamo immaginare non era freschissima, si aggiungeva vino, sale, rosmarino e tantissimo pepe, l’ingrediente principale che dà il nome al piatto.
Come spesso succede, si deve il merito ad un illustre personaggio se il Peposo è poi diventato famoso a Firenze.
Siamo nel 1425, l’anno in cui Filippo Brunelleschi si occupava della progettazione e della costruzione della cupola della Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Come tutte le grandi personalità geniali, l’architetto fiorentino non si concentrava esclusivamente a risolvere i problemi legati alla struttura e alla sua realizzazione, ma si dedicava anche anche alla gestione degli operai e dei loro ritmi lavorativi. Il Brunelleschi riteneva che i lavoratori impiegassero troppo tempo a rifocillarsi per il pranzo. Dovevano infatti scendere dall’impalcatura, raggiungere l’osteria più vicina, mangiare e infine risalire sulla cupola. Per ottimizzare questi lunghissimi tempi di salita e discesa dalle alte impalcature, prese spunto dagli operai delle fornaci dell’Impruneta.
Uomo ingegnoso non solo per gli aspetti architettonici ma anche per quelli pratici, fece costruire delle mense sulle impalcature da dove gli operai potessero mangiare senza dover scendere.
Il Brunelleschi faceva arrivare sui ponteggi il vino rosso e il Peposo dentro gli orci con gli argani del cantiere, contribuendo all’espansione e al successo di questa celebre prelibatezza locale.
Come tutte le ricette popolari non ne esiste una versione unica e ufficiale, ma di base gli ingredienti necessari per un Peposo alla fiorentina d’Impruneta sono il muscolo di chianina, vino rosso del Chianti, chicchi di pepe nero in abbondanza, pane toscano a fette e un mazzetto di salvia e rosmarino.
La preparazione è semplicissima, e il vero dettaglio fondamentale è la cottura nella pentola di coccio, dove disporre la carne tagliata a pezzi non troppo piccoli, gli spicchi d’aglio non pelati, sale, mazzetto di odori e pepe. Il tutto va coperto con il vino e lasciato cuocere a fuoco moderato fino a che la carne non risulti estremamente morbida. Il piatto che ha fatto la storia di Firenze e dell’Impruneta va gustato su fette di pane tostato.
Due parole sul territorio di origine di questa ricetta e le storia delle manifatture.
L’arte della terracotta rappresenta per Impruneta un enorme patrimonio ed un primario elemento di identità culturale: proprio qui si è affermata quella che è stata definita la civiltà del cotto, viva e diffusa nelle numerose manifatture locali odierne.
Oggi la produzione si caratterizza infatti in due fronti: quello industriale con pavimenti e laterizi, e quello artigianale con orci, vasellame e oggetti da arredo.
La costante fortuna della terracotta a Impruneta è motivata dalla presenza di un tipo di argilla di alto rendimento, dal patrimonio boschivo, un tempo indispensabile per fornire il combustibile, e per la favorevole posizione geografica, collegata a Firenze, Arezzo e Siena.
Nel 1308 orciolai e mezzinai erano riuniti in una corporazione costituita per proteggere e regolamentare la produzione e la qualità dei prodotti di un artigianato già allora fiorente.
L’atto stipulato il 23 marzo dal notaio Benintendi di Guittone da Santa Maria Impruneta, informa che i componenti della corporazione erano 23 e la maggior parte, 11, appartenevano populi plebis Sancte Marie Impinete.
Da allora la produzione del cotto è continuata nei secoli e si sono create nel tempo vere e proprie dinastie di fornaciai.
Oggi visitare le fornaci ci avvicina ad un processo di lavorazione unico e affascinante che unisce i quattro elementi primari: terra, acqua, aria e fuoco nella creazione dei numerosi oggetti in cotto sparsi sul territorio.
Dalle forme di tipo tradizionale, a prodotti frutto di costanti ricerche, studiati per l’inserimento in contesti urbani e architettonici internazionali, da architetti come Mario Botta, Aldo Rossi o Renzo Piano